Horacio Verbitsky «Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia: il resto è Propaganda.
Il suo compito è additare ciò che è nascosto, dare testimonianza ed essere molesto

- Horacio Verbitsky ("Un mundo sin periodistas", 1997)
Associazione per la Verità sull'11-$

mercoledì 13 luglio 2011

Privatizzazioni in Sardegna: abbiamo dimenticato l'Editto delle Chiudende?

E' abbastanza comprensibile che se dimentichiamo la Storia della nostra patria ci convertiamo in alberi senza radici. Allo stesso modo, la riscrittura della Storia di un popolo può generare delle alterazioni anche molto divergenti nel suo immediato futuro.

Cosa è accaduto da quando noi sardi abbiamo dimenticato la nostra storia e abbiamo accettato un "mito storico" imposto da individui esterni ed ostili?

«Il primo uomo che, avendo recinto un terreno, ebbe l'idea di proclamare "questo è mio", e trovò altri cosí ingenui da credergli, costui è stato il vero fondatore della società civile. Quante miserie, quanti orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i pali o colmando il fosso, avrebbe gridato ai suoi simili: "Guardatevi dall'ascoltare questo impostore; se dimenticherete che i frutti sono di tutti e che la terra non è di nessuno, sarete perduti!"»
- Jean-Jacque Rousseau
(dal "Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianza tra gli uomini", 1755)

Vittorio Emanuele I, Re di Sardegna (Wiki) La dominazione piemontese in Sardegna ha inizio nel 1720 ed esattamente un secolo dopo, nel 1820, viene emanato l’Editto delle Chiudende dal re Vittorio Emanuele I di Savoia (detto il Tenacissimo). Con questo decreto si consentì la creazione della proprietà privata e venne del tutto cancellato il regime della proprietà collettiva dei terreni, che era stata una delle principali caratteristiche della cultura e dell'economia sarda fin dal tempo dei nuragici per poi essere sempre successivamente confermato nella legislazione dell'isola [1]. In particolare si autorizzava «qualunque proprietario a liberamente chiudere di siepe, o di muro, vallar di fossa, qualunque suo terreno non soggetto a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana o d'abbeveratoio». La stessa licenza era concessa ai comuni, per i terreni di loro proprietà, ed in tutti terreni chiusi in applicazione dell'Editto era «libera qualunque coltivazione, compresa quella del tabacco».

Sugli stati di Oliva (1769): il Principato di Anglona
Alcuni esempi di chiudende in terra sarda [Foto: archeologosardos.it]

L'Editto infranse il tradizionale principio ubi feuda, ibi demania (dove ci sono beni feudali, là ci sono i demani) che faceva parte del diritto intermedio già da diverso tempo. Fu accolto subito con criticità da alcuni conoscitori dell'Isola, in particolare dall'Angius, che nel 1822 scriveva: «i pastori cominciarono a maledire irreligiosamente l'Editto delle Chiudende e a cercare di reprimere l'ambizione di alcuni chiudenti [...]. Queste doglianze furono dall'Ufficio economico della provincia trovate giuste; non pertanto la invocata legge restò inerte» [2].

«Procurad'e moderare,
Barones, sa tirannia
chi si no, pro vida mia,
torrades a pés in terra.
Decrarada est giaj sa gherra
contra de sa prepotentzia,
incomintzat sa passentzia
in su pobulu a mancare.
»

Cercate di moderare,
Baroni, la tirannia,
altrimenti, lo giuro sulla mia vita,
tornate coi piedi a terra.
E' già dichiarata la guerra
contro la prepotenza,
e comincia la pazienza
nel popolo a venir meno.
«Mirade ch'est pesende
contra de bois su fogu;
mirade chi no est giogu
chi sa cosa andat 'e veras.
Mirade chi sas aeras
minetan su temporale,
zente cunsizzada male
iscurtade sa 'oghe mia.
»

Badate che si sta accendendo
l'incendio contro di voi;
badate che non è uno scherzo
che la cosa sta diventando realtà.
Badate che il cielo
minaccia il temporale,
gente mal consigliata
ascoltate la mia voce.
(prima e seconda strofa dell'Inno contro i feudatari,
Su patriota sardu a sos feudatarios, 1795 - Francesco Ignazio Mannu [3])

Ordo ab Chaos (Ordine dal Caos)
Questa imposizione dall'esterno di valori culturali portati dai piemontesi, considerati invasori, con le evidenti conseguenze anche economiche per una popolazione che faceva dell'agricoltura comune e della pastorizia su terreni comuni la sua fonte di vita, contribuì in modo determinante a un ulteriore aggravarsi del fenomeno della ribellione e di conseguenza del cosiddetto banditismo sardo [1].

Divide et Impera (Dividi e Regna)
Da sottolineare che tale fatto alimentò dissidi tra i pastori e i contadini. I privati venivano infatti autorizzati a recingere i terreni e diventarne proprietari assoluti, impedendo nel contempo l’accesso alle greggi che, in tal modo, venivano private di non pochi pascoli. In realtà l’Editto, se per un verso danneggiava i pastori, per altro verso non favoriva certo quei contadini che erano solo prestatori d’opera. Lo stesso documento, infatti, autorizzava i comuni a vendere o cedere gratuitamente i propri terreni, per cui a trarne vantaggio, grazie anche a non pochi abusi, furono solo coloro che già erano proprietari terrieri e, quindi, avevano i mezzi per acquistarne altri o le aderenze necessarie per ottenerne gratis [1].

Problema-Reazione-Soluzione: verso un'agricoltura moderna?
L'Editto delle Chiudende si inserisce in un progetto politico atto a scindere il cordone secolare che, alle soglie dell’era industriale, ancorava la Sardegna al Medioevo e porre le basi per la creazione di una classe di piccoli e medi proprietari terrieri, condizione indispensabile per dare impulso a un’agricoltura moderna capace di innescare, a sua volta, uno sviluppo commerciale e industriale nell’isola [1].
Scrive Enea Beccu nel suo libro "Tra cronaca e storia le vicende del patrimonio boschivo della Sardegna": «Se il fine fù lodevole, non altrettanto lo fù l’applicazione pratica della norma, che ebbe effetti devastanti in molte campagne. Le concessioni di terreno da destinare a coltivazioni specializzate, oliveti, vigne, cereali, o a pascolo, dovevano essere di superficie limitata, e venivano accordate con la clausola che fossero lasciate libere alcune aree di uso comune: la strada per il passaggio del bestiame rude, quella per il passaggio del bestiame domestico e dei carri, il pubblico abbeveratoio e la vicina fonte perenne. In realtà poi le cose andarono diversamente e si verificarono tanti abusi: furono recintate anche superfici considerevoli, con o senza l’autorizzazione prescritta, inglobati abbeveratoi e strade, sottratti all’uso comunitario preziosi pascoli ghiandiferi, e ciò finì per generare molti disordini tra la popolazione rurale povera e già esasperata dalle angherie baronali. I "prinzipales", i notabili dei singoli villaggi, le persone benestanti "le quali ad altro non pensano che a chiudere terreni per usurparne dalla Comunità e far necessitare l’abbeveraggio del bestiame nei fiumi, con il qual mezzo nell’invernale stagione e nella primavera si fanno pagare a caro prezzo dai pastori il pascolo", approfittarono dell’Editto per impadronirsi di vaste terre d’uso comune e questo sfociò in disordini, devastazioni ed incendi, molti dei quali riguardarono aree boscate. Queste privatizzazioni incisero sulla disponibilità – se non a prezzi esosi – dei pascoli, ed anche delle ghiande occorrenti per l’allevamento dei maiali domestici e determinarono, in qualche caso, una riduzione di due terzi del loro numero» [4].

«Tancas serradas a muru
fattas a s'afferra afferra;
chi su chelu fid in terra
l'haiant serradu puru.»

Pascoli chiusi con muri
fatti all’arraffa arraffa;
se il cielo fosse stato in terra
avrebbero recintato anche quello.
(Tancas serradas a muru, 1820 - Melchiorre Murenu [5])

Lo stesso ex viceré di Sardegna, marchese di Yenne, scrisse due relazioni, la prima il 22 settembre 1832, la seconda il successivo 6 ottobre, che contengono una cronaca sufficientemente istruttiva degli effetti dell'Editto: «È veramente eccessivo l'abuso che fecesi delle chiudende da alcuni proprietari. Siffatto abuso è quasi generale. Si chiusero a muro ed a siepe dei boschi ghiandiferi, si chiusero al piano e ai monti i pascoli migliori per "obbligare i pastori a pagarne un altissimo fitto" e si incorporarono perfino le pubbliche fonti e gli abbeveratoi per meglio dettare ai medesimi la legge». Rincarando la dose, aggiunse che l'Editto «giovò nella sua esecuzione soltanto ai ricchi e potenti». Sempre dalla relazione del viceré si apprende (per aver egli assunto «le più accurate informazioni») che gli incidenti cominciarono a Gavoi, con l'abbattimento di tre chiusi e con «discussioni fra li demolitori e danneggiati»; seguitarono poi alla vicina Mamoiada e poi a Nuoro, Fonni, Bitti ed altri paesi, «portando in tutti codesti luoghi devastamenti, incendi e rovine, e segnatamente in Benetutti, il di cui aspetto mette orrore al passeggiero» [2].

Ringraziamenti: ai signori Francesca e Gian Franco, per avermi indirizzato verso la comprensione delle chiudende e dei suoi risvolti sociali. Era un pezzo di storia della mia isola che ancora non conoscevo.

*****************

Conclusioni
A mio avviso, la storia delle chiudende in Sardegna può essere un utile esempio storico da inserire nel contesto della progressiva centralizzazione del potere che abbiamo avuto su scala mondiale e che oggi è conosciuta col nome di globalizzazione. Dobbiamo ricordare che anche se la Storia non ci insegna nulla, essa punisce inesorabilmente i popoli per non aver imparato le sue lezioni (si veda in proposito l'articolo "I Sei Princìpi della Manipolazione Globale").
Ancora oggi l'Elite al potere si arroga il diritto di "chiudere" ciò che appartiene alla collettività; ne abbiamo avuto esempio da poco con il tentativo di privatizzare il servizio di fornitura dell'acqua pubblica, bloccato per il momento grazie al referendum abrogativo del 12-13 Giugno del 2011 [6]. La storia delle depredazioni subite dallo Stato italiano prende però il via nel 1991 con la cessione del patrimonio immobiliare dell'Eni alla banca d'affari Goldman-Sachs [7], seguito dalle aziende controllate dall'IRI; fra queste vi era anche la SME, le cui irregolarità di svendita porteranno al famoso processo tra Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti [8].


Video di YouTube/marcpoling

A monte delle privatizzazioni statali, inoltre, vi è la peggiore delle "chiudende" sociali: la cessione della Sovranità Monetaria a colpi di Decreti e Statuti. Esattamente come era successo per le terre in Sardegna, le dinastie bancarie si sono arrogate il diritto di emettere moneta e di prestare denaro in cambio di una garanzia ipotecaria e di un interesse accumulato sul debito.
Capire il sistema monetario di oggi è davvero di prioritaria importanza, tanto quanto comprenderne la sua storia; senza aver appreso i meccanismi di emissione della moneta, sia contante sia scritturale, non si può comprendere come si generino il Debito Pubblico e l'inflazione (si veda in proposito l'approfondimento dedicato al signoraggio bancario).

La trasformazione del denaro da «unità di misura del valore» a «oggetto del valore» ha rappresentato probabilmente la principale fonte di corruzione del Sistema e ancora oggi ne costituisce il potente motore [9].

«Su pobulu, chi in profundu
letargu fit sepultadu,
finalmente despertadu
s'abbizzat ch 'est in cadena,
ch'istat suffrende sa pena
de s'indolenzia antiga.
Feudu, legge inimiga
a bona filosofia!
»

Il popolo, che in un profondo
letargo era sprofondato,
finalmente risvegliato
si rende conto che è in catene,
che sta scontando la pena
della secolare indolenza.
Sistema feudale, ordinamento contrario
a ogni sana filosofia!
«Che chi esseret una binza,
una tanca, unu cunzadu,
sas biddas hana donadu
de regalu, o a bendissione.
Comente unu cumone
de bestias berveghinas
sos homines, e feminas,
han bendidu cun sa cria.
»

Come fossero un vigneto,
un pascolo, un chiuso,
i villaggi hanno ceduto
in regalo, o a buon mercato.
Come un gregge
di bestiame ovino
hanno venduto uomini, e donne,
insieme coi loro figli.
«Pro pagas mizas de liras,
e tale orta pro niente,
isclavas eternamente
tantas populassiones.
E migliares de persones
servin a unu tiranu:
poveru generu humanu!
Povera sarda zenìa!
»

Per poche migliaia di lire,
e talvolta anche per niente,
eternamente schiave
tante popolazioni [rurali].
E migliaia di persone
servono un tiranno:
povero genere umano!
Povere genti sarde!
«Deghe o doighi Familias
si han partidu sa Sardigna,
de una manera indigna
sinde sun fattas pobiddas.
Divididu si han sas Biddas
in sa zega antiguedade,
pero sa presente edade
lu pensat remediare.
»
Dieci o dodici Famiglie [casati]
si son spartite la Sardegna,
in modo indegno
se ne sono impossessate.
Hanno diviso i Villaggi
nell'età oscura [Medio Evo],
però la generazione attuale
pensa di porvi rimedio.
(quarta, quinta, sesta e settima strofa dell'Inno contro i feudatari [3])


[1] Sardegna Agricoltura - L'Editto delle Chiudende: una pagina di conflittualità nella storia sarda. (ARTICOLO)
[2] it.Wikipedia - Editto delle Chiudende: teoria e pratica del riformismo agrario. (WIKI)
[3] Francesco Ignazio Mannu - Su patriota sardu a sos feudatarios, 1795. (CANTICO SARDO)
[4] Enea Beccu - Tra cronaca e storia le vicende del patrimonio boschivo della Sardegna, 2000. (LIBRO)
[5] Melchiorre Murenu - Tancas serradas a muru, 1820. (POEMA SARDO)
[6] it.Wikipedia - Referendum abrogativi del 2011 in Italia: primo quesito. (WIKI)
[7] it.Wikipedia - Le privatizzazioni industriali in Italia. (WIKI)
[8] it.Wikipedia - Il processo SME. (WIKI)
[9] Giacinto Auriti - Il paese dell'utopia, 2002. (LIBRO)

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