E' abbastanza comprensibile che se dimentichiamo la Storia della nostra patria ci convertiamo in alberi senza radici. Allo stesso modo, la riscrittura della Storia di un popolo può generare delle alterazioni anche molto divergenti nel suo immediato futuro.
Cosa è accaduto da quando noi sardi abbiamo dimenticato la nostra storia e abbiamo accettato un "mito storico" imposto da individui esterni ed ostili?
«
Il primo uomo che, avendo recinto un terreno, ebbe l'idea di proclamare "questo è mio", e trovò altri cosí ingenui da credergli, costui è stato il vero fondatore della società civile. Quante miserie, quanti orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i pali o colmando il fosso, avrebbe gridato ai suoi simili: "Guardatevi dall'ascoltare questo impostore; se dimenticherete che i frutti sono di tutti e che la terra non è di nessuno, sarete perduti!"»
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Jean-Jacque Rousseau
(dal
"Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianza tra gli uomini", 1755)

La dominazione piemontese in Sardegna ha inizio nel 1720 ed esattamente un secolo dopo, nel 1820, viene emanato l’
Editto delle Chiudende dal re
Vittorio Emanuele I di Savoia (detto
il Tenacissimo). Con questo decreto si consentì la
creazione della proprietà privata e
venne del tutto cancellato il regime della proprietà collettiva dei terreni, che era stata una delle principali caratteristiche della cultura e dell'economia sarda fin dal tempo dei nuragici per poi essere sempre successivamente confermato nella legislazione dell'isola
[1]. In particolare si autorizzava «
qualunque proprietario a liberamente chiudere di siepe, o di muro, vallar di fossa, qualunque suo terreno non soggetto a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana o d'abbeveratoio». La stessa licenza era concessa ai comuni, per i terreni di loro proprietà, ed in tutti terreni chiusi in applicazione dell'Editto era «
libera qualunque coltivazione, compresa quella del tabacco».